Il politico
e storico Giustino Fortunato amava citare il padre : “ l’unificazione dell’Italia è stato un
crimine contro la storia e la geografia”
Fortunato
era un convinto assertore che la forza dell’Italia risiedesse da sempre nelle
realtà regionali ed un governo centrale non avrebbe mai potuto funzionare adeguatamente.
Il paese è
in crisi; politicamente ed economicamente. Ma i problemi dell'Italia vanno ben oltre la crisi attuale, le
radici del nostro declino affondano nella fragilità dell’identità nazionale, di
una crisi iniziata il 17 marzo 1861.
L’unità
raggiunta in fretta e furia nell’ottocento, l’avvento del fascismo nella prima
metà del novecento e la successiva sconfitta nella seconda guerra mondiale, non hanno certo alimentato nei cittadini “l’amore
per la patria”.
Se dopo il
fascismo lo stato avesse raggiunto importanti successi e offerto ai cittadini un esempio con cui
identificarsi, le cose forse sarebbero andate diversamente. Ma negli anni i
governi che si sono succeduti si sono semplicemente limitati ad amministrare
l’economia nazionale. Negli ultimi sessant’anni lo stato ha fallito su tutta la linea: non ci ha garantito un governo efficace, non ha contrastato
adeguatamente la corruzione, non ha tutelato l’ambiente, non ha protetto noi
cittadini dalla camorra, mafia, cosa nostra e dalle altre organizzazioni
criminali.
Oggi,
nonostante i punti di forza del paese, il governo è incapace persino di guidare l’economia.
Per riunire
in un unico reame i sette regni dell’inghilterra anglosassone, intorno al
decimo secolo, ci sono voluti circa 400 anni. Per riunire i sette stati in cui
era diviso il territorio italiano ci sono voluti meno di due anni, tra l’estate
del 1859 e la primavera del 1861.
Il Papato venne privato della maggior parte dei suoi possedimenti, la dinastia dei Borboni fu
cacciata da Napoli e i duchi dell’Italia centrale persero i loro troni. La monarchia piemontese divenne sovrana dell’Italia.
L’Italia
unita ha saltato il doloroso processo di costruzione di una nazione trasformandosi, nel
giro di 2 anni, in uno stato centralizzato che non faceva
concessioni ai regionalismi.
Per capire di cosa stiamo parlando basta fare un confronto con la Germania del 1871: dopo l’unificazione l’impero tedesco era guidato da una
confederazione che comprendeva 4 regni e 5 granducati, il nostro paese , al
contrario, fu unificato nel nome di Vittorio Emanuele II e diventò
immediatamente una versione allargata del regno piemontese: mantenne lo stesso
sovrano, la stessa capitale Torino e la stessa costituzione. L’imposizione
delle leggi piemontesi fece in modo che la gran parte della popolazione si
sentisse sottomessa, la varietà dell’Italia aveva una storia secolare e non si sarebbe potuta cancellarla nel giro di pochi anni.
Nel quinto
secolo aC gli abitanti della Grecia antica parlavano la stessa lingua e si
consideravano un unico popolo. Nello stesso periodo nel nostro paese le
popolazioni parlavano circa 40 lingue diverse e non avevano nessun senso di
identità comune. La diversità italiana si è accentuata dopo la caduta
dell’impero romano e per secoli è rimasta divisa prima nei comuni medievali, poi nelle
città stato e in seguito nei ducati rinascimentali. Lo spirito localistico sopravvive
ancora oggi, se chiediamo ad un cittadino di Padova di definirsi dirà che si sente innanzitutto padovano, poi veneto ed infine italiano. La diversità linguistica è un altro barometro della
frammentazione italiana, nel 1861 il 90 % degli italiani parlava lingue o
dialetti incomprensibili nel resto del paese , perfino re Vittorio
Emanuele parlava solo piemontese quando
non si esprimeva nella sua lingua madre , il francese. Nell’euforia generale
del periodo tra il 1859 e 61 quasi nessun politico ebbe coscienza della
complicazione di unificare popolazioni cosi eterogenee, uno dei pochi a farlo
fu Massimo D’Azeglio che dopo l’unità disse “ abbiamo fatto l’Italia
ora dobbiamo fare gli italiani”.
Sel’Italia
avrà ancora un futuro dopo questa crisi la Politica dovrà tener conto del regionalismo intrinseco e millenario del
paese. Naturalmente non si potrà tornare ad essere un insieme di
repubbliche comunali, ducati rurali e principati ma potrebbe benissimo
diventare un moderno stato federale capace di riflettere la nostra natura storica. Daltronde un popolo che dimentica le sue origini non ha futuro.
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