17/10/23

SI PUO' FARE!!

 



PENSATORI LIBERI QUI TROVATE LA VOSTRA RAPPRESENTANZA

Pensi che la terra sia piatta? Credi agli extraterrestri, ai rettiliani, ai complotti, alla mamma, le scie chimiche, agli UFO, a dio.....insomma qualsiasi sia la tua opinione FUORI DA QUELLA DEL PENSIERO UNICO DOMINANTE 
beh, allora sei nel posto giusto.

LO STRUMENTO DI AGGREGAZIONE PUO’ ESSERE SOLO UN MOVIMENTO DI OPINIONE  che raccolga tutte le anime del pensiero libero, non importa quale sia basta che sia LIBERO

La Libertà di OPINIONE è un fondamento della Democrazia

Assistiamo alla cancellazione, lenta e progressiva, di questo DIRITTO da parte degli Interessi Economici Prevalenti.

La strategia mira a dare vita alla Democrazia Totalitaria quella dei tutti uguali, costruendo la Società del Pensiero Unico.

Qui non per fare proselitismo o discutre su quale sia l'opinione giusta....SONO TUTTE GIUSTE, ma qui per agregarti, per non farti insultare, per fare numero, avere peso ed essere rispettato e magari per molto altro.

Se ci stai vieni alla presentazione la cui data e luogo è prossima scrivici se vuoi esserci

movimentokosmos@gmail.com 

07/10/14

Società e Mercato

Tratto da “Quello che i soldi non possono comperare” di Michael J. Sandel editore Feltrinelli

Negli ultimi trent’anni i mercati e i valori di mercato, hanno preso a governare le nostre vite come mai prima d’ora. Viviamo in una epoca in cui quasi tutto può essere comperato e venduto.
Gli anni precedenti la crisi finanziaria  del 2008 sono stati un momento di esaltazione della fede nei mercati e della deregulation. Questa epoca ha avuto inizio negli anni ottanta quando Ronald Reagan e Margaret  Thathcer sostennero che  “erano i mercati e non i governi” ad avere in mano le chiavi della prosperità e della libertà. Tale credo è perdurato negli anni novanta con “il pensiero non ostile ai mercati” di Bill Clinton e Tony Blair.
L’era del trionfalismo dei mercati sta volgendo al termine, oggi questa fiducia è in dubbio. La crisi finanziaria non ha solamente instillato il dubbio sulla capacità dei mercati di  allocare il rischio in maniera efficiente, ha anche suscitato la diffusa  percezione che i mercati si siano allontanati dalla morale  e si debba riavvicinarli ad essa in un qualche modo ma che cosa ciò significhi, o come dovremmo muoverci al riguardo, non è ovvio.
Per affrontare questa situazione non basta inveire contro l’avidità; occorre ripensare al ruolo che i mercati possono giocare nella nostra società. Per affrontare tale dibattito, serve riflettere a fondo sui limiti morali dei mercati, serve chiedersi se esiste qualche cosa che il denaro non può comprare…..SEI ARRIVATO QUI

Perché preoccuparsi del fatto che stiamo andando verso una società in cui tutto è in vendita?
Per due ragioni: una riguarda la diseguaglianza; l’altra la corruzione.
Consideriamo la diseguaglianza. In una società in cui tutto è in vendita, la vita è più difficile per chi dispone di mezzi modesti. Più il denaro può comprare, più la ricchezza o la sua mancanza contano.
Se il solo vantaggio della ricchezza fosse la possibilità di comprare yacht, auto sportive, gioielli o vacanze esclusive, le diseguaglianze di reddito e di ricchezza non importerebbero molto.
Man mano però che il denaro arriva a comperare sempre più cose: l’influenza politica, una buona assistenza sanitaria, una casa in un quartiere sicuro, l’accesso a scuole d’elite, la distribuzione del reddito e della ricchezza assumono un ruolo sempre maggiore.
Laddove tutte le cose buone  sono comprate e vendute, avere i soldi fa la differenza.
La seconda ragione per cui dovremmo esitare a mettere tutto in vendita è più complessa da spiegare. Non riguarda la diseguaglianza e l’equità ma gli effetti corrosivi dei mercati. Assegnare un prezzo alle cose buone  può corromperle.
Quando decidiamo che certi beni possono essere comprati e venduti, decidiamo, almeno implicitamente, che è appropriato trattarli come merce, come strumenti di profitto e di consumo.
Ma non tutti i beni sono in questo modo  valutati correttamente. L’esempio più ovvio è l’essere umano. La schiavitù è esecrabile perché trattare gli esseri umani come merce da comprare e  vendere all’asta non riesce a valutare gli esseri umani nel modo appropriato, come persone meritevoli di dignità e rispetto, piuttosto che mezzi di guadagno e oggetti d’uso.
Questo esempio mette in luce un aspetto più generale; se trasformate in merci, alcune delle cose buone  della vita vengono corrotte o degradate.
Senza rendercene conto  e senza averlo mai deciso di farlo, siamo passati dall’avere  un economia di mercato all’essere una società di mercato, la differenza è che  un economia di mercato  è uno strumento prezioso ed efficace  per organizzare l’attività produttiva. Una società di mercato è un modo di vivere  in cui i valori di mercato penetrano in ogni aspetto dell’attività umana. Un luogo dove le relazioni sociali sono trasformate a immagine del mercato.
Vogliamo un’economia di mercato o una società di mercato? Quale ruolo dovrebbero  giocare i mercati nella vita pubblica e nelle relazioni personali ? Come possiamo decidere quali beni debbono essere comprati e venduti  e quali vadano governati da valori non di mercato?
Un dibattito serio sul ruolo e sulla portata dei mercati rimane largamente assente dalla nostra vita politica perché ogni tentativo di  ripensare al ruolo ed alla portata dei mercati dovrebbe prendere le mosse dal riconoscimento di due ostacoli scoraggianti.
Uno è il persistente potere e prestigio della logica di mercato ed è un ostacolo sconcertante se solo pensiamo che  non è bastata la crisi finanziaria del 2008 a far cambiare le cose.
Il secondo è la sudditanza della politica alle regole della finanza che impedisce di affrontare un dibattito sui limiti morali dei mercati, un dibattito pubblico che rifletta su questioni morali controverse quali: il giusto modo di valutare la procreazione, l’infanzia, l’istruzione, la salute, l’ambiente, la cittadinanza e altri beni.
Tutto questo mentre cresce nei cittadini la frustrazione per un sistema politico incapace di agire per il bene comune o di occuparsi delle questioni che contano di più.
Quando pensiamo alla moralità dei mercati, pensiamo innanzitutto alle banche di Wall Street ed ai loro spericolati misfatti, agli hedge funds, alle manovre di salvataggio della finanza con i soldi pubblici.
La sfida morale e politica che dobbiamo affrontare oggi consiste nel ripensare il ruolo e la portata dei mercati all’interno delle nostre attività sociali, delle relazioni umane e della quotidianità.


02/10/14

Diseguaglianze


La globalizzazione neoliberista degli ultimi 25 anni ha creato grandi concentrazioni di capitale e ha fatto aumentare solo i salari più alti. Il risultato è che le diseguaglianze di patrimonio e di reddito non sono mai state così accentuate.

29/09/14

Quando il lavoro che ami è una trappola


Quando si parla di lavoro sembra proprio che il modo di dire  “ fa quello che ami” o “ama quello che fai” sia diventato il mantra ufficiale dei nostri tempi.
Sulle prime sembra contenere un messaggio edificante che ci spinge a chiederci quale sia la cosa che preferiamo fare e trasformarla in una attività da cui ricavare un reddito, ma con un po’ più di attenzione si scopre che non porta alla salvezza ma alla svalutazione di quel stesso lavoro che dice di voler elevare e , soprattutto, alla disumanizzazione della gran parte dei lavoratori.
A chi si rivolge o non rivolge , questa esortazione ?
Incoraggiandoci a restare concentrati su noi stessi e sulla nostra felicità individuale, lo slogan ci distrae dalle condizioni di lavoro degli altri e al tempo stesso conferma le nostre scelte , sollevandoci dalla responsabilità  nei confronti di tutti quelli che lavorano anche senza amare il lavoro che fanno.
E’ la stretta di mano dei privilegiati, è una visione del  mondo che maschera l’ elitismo in nobile aspirazione a migliorare se stessi.
Secondo questa scuola il lavoro non è una cosa che si fa per un compenso, ma un atto d’amore verso se stessi, se il profitto manca è perché il lavoratore non ci ha messo abbastanza passione.
Il vero obiettivo  è illuderci che lavoriamo per noi stessi e non per il mercato.
Tutti i “predicatori” della positività includono da decenni questo modo di dire nel loro repertorio,  ma il suo più importante e recente evangelista  è il defunto amministratore delegato della Apple , Steve Jobs.
Il suo discorso alla Stanford University può essere un mito originario credibile soprattutto da quando Steve Jobs è stato beatificato come santo patrono  del lavoro estetizzato, ben prima della sua morte prematura.
Durante il discorso Jobs ha introdotto questa riflessione “Dovete scoprire le vostre passioni. E questo vale nel lavoro come nell’amore. Il vostro lavoro occuperà una grossa parte della vostra vita e l’unico modo per essere veramente soddisfatti è farlo bene. E per fare bene il vostro lavoro, l’unico modo è amare quello che fate”
Ma rappresentando la Apple come frutto del suo amore individuale Jobs ha cancellato il lavoro di migliaia di anonimi  che lavorano negli stabilimenti della azienda, al riparo da occhi indiscreti, dall’altra parte del pianeta: gli stessi che hanno permesso a Jobs di tradurre in pratica il suo amore.
La violenza di questa cancellazione va denunciata.
Di fatto il lavoro viene diviso in due categorie:
Quello piacevole ( creativo,intellettuale, socialmente prestigioso) e quello che non lo è ( ripetitivo, non intellettuale, generico)
Chi fa lavori piacevoli è privilegiato in termini di ricchezza, status sociale , istruzione, pregiudizi razziali e peso politico anche se costituisce una piccola parte della forza lavoro complessiva.
Per chi è costretto a fare un lavoro che non ama è tutta un'altra storia. I lavori che si fanno per motivi e bisogni diversi dall’amore  ( cioè la maggior parte ) non sono solo sminuiti, ma cancellati, dal credo di Jobs.
Pensate alla grande varietà di lavori che  hanno permesso a Jobs di vivere anche un solo giorno da amministratore delegato della Apple. Il cibo che ha mangiato è stato raccolto nei campi e trasportato a destinazione. Le merci della sua azienda sono state assemblate, impacchettate  e spedite. Gli sponsor pubblicitari sono stati concepiti, scritti, interpretati e filmati. Le cause legali sono state discusse in tribunale . I cestini della carta straccia sono stati svuotati e le cartucce delle stampanti sostituite.
Eppure, dal momento che la stragrande maggioranza dei lavoratori rimane invisibile agli occhi delle elite innamorate del loro lavoro, non stupisce  che le gravi difficoltà affrontate  oggi dai lavoratori ( salari ridicoli, costi degli asili nido e cosi via ) stentino ad essere percepite  come problemi politici perfino dalle frange  più progressiste della classe dirigente.
Ignorare la maggior parte  dei lavori e riclassificando il resto come “amore”, “fa quello che ami” è la più grande  ideologia in circolazione  contro i lavoratori.
Se crediamo che lavorare come imprenditori nella Sillycon Valley, addetti stampa di un museo o ricercatori di un istituto, sia essenziale per essere persone autentiche  cosa pensiamo delle vite interiori e delle speranze di quelle che puliscono le stanze d’albergo o riforniscono gli scaffali di un grande magazzino? La risposta è: Niente.
Eppure , sono proprio i lavori più faticosi e sottopagati che la maggior parte della gente continua a fare. Elevare un certo tipo di professionisti a qualcosa che vale la pena di amare significa automaticamente  denigrare il lavoro di quelli che fanno mestieri poco attraenti ma che poi sono quelli che mandano avanti la società.
Prima di soccombere al  mantra “fa quello che ami” è fondamentale chiedersi “ A chi conviene, esattamente, fare in modo che il lavoro non sia percepito come un lavoro?”  Perché i lavoratori dovrebbero avere l’impressione di non lavorare se è proprio quello che fanno ?
Lo storico Mario Liverani ci ricorda che  “l’ideologia ha la funzione di presentare allo sfruttato lo sfruttamento in una luce favorevole , come qualcosa di vantaggioso per gli svantaggiati”
Mascherando gli stessi meccanismi di sfruttamento che alimenta, “ fa quello che ami” è il più perfetto strumento ideologico del capitalismo. Distoglie l’attenzione dal lavoro degli altri, mascherando il nostro da qualcos’altro. Nasconde il fatto  che se considerassimo lavoro quello che facciamo, potremmo stabilire dei limiti appropriati ed esigere un compenso equo ed orari umani compatibili con la famiglia e lo svago.
Se lo facessimo aumenterebbe il numero delle persone in grado di fare il lavoro che amano.


Di Miya Tokumitsu

24/09/14

Perchè credo in uno stato Federale

Il politico e storico Giustino Fortunato amava citare il padre :  “ l’unificazione dell’Italia è stato un crimine contro la storia e la geografia”
Fortunato era un convinto assertore che la forza dell’Italia risiedesse da sempre nelle realtà regionali ed un governo centrale non avrebbe mai potuto funzionare adeguatamente.
Il paese è in crisi; politicamente ed economicamente. Ma i problemi  dell'Italia vanno ben oltre la crisi attuale, le radici del nostro declino affondano nella fragilità dell’identità nazionale, di una crisi iniziata il 17 marzo 1861.
L’unità raggiunta in fretta e furia nell’ottocento, l’avvento del fascismo nella prima metà del novecento e la successiva sconfitta nella seconda guerra mondiale,  non hanno certo alimentato nei cittadini “l’amore per la patria”.
Se dopo il fascismo lo stato avesse raggiunto importanti successi  e offerto ai cittadini un esempio con cui identificarsi, le cose forse sarebbero andate diversamente. Ma negli anni i governi che si sono succeduti  si sono  semplicemente limitati ad amministrare l’economia nazionale. Negli ultimi sessant’anni lo stato ha fallito su  tutta la linea: non ci ha garantito  un governo efficace, non ha contrastato adeguatamente la corruzione, non ha tutelato l’ambiente, non ha protetto noi cittadini dalla camorra, mafia, cosa nostra e dalle altre organizzazioni criminali.
Oggi, nonostante i punti di forza del paese, il governo  è incapace persino di guidare l’economia.
Per riunire in un unico reame i sette regni dell’inghilterra anglosassone, intorno al decimo secolo, ci sono voluti circa 400 anni. Per riunire i sette stati in cui era diviso il territorio italiano ci sono voluti meno di due anni, tra l’estate del 1859  e la primavera del 1861.
Il Papato venne privato della maggior parte dei suoi possedimenti, la dinastia dei Borboni fu cacciata da Napoli e i duchi dell’Italia centrale persero i loro troni. La monarchia piemontese divenne sovrana dell’Italia.
L’Italia unita ha saltato il doloroso processo di costruzione di una nazione trasformandosi, nel giro di 2 anni,  in uno stato centralizzato che non faceva concessioni ai regionalismi. 
Per capire di cosa stiamo parlando basta fare un confronto con la Germania del 1871: dopo l’unificazione l’impero tedesco era guidato da una confederazione che comprendeva 4 regni e 5 granducati, il nostro paese , al contrario, fu unificato nel nome di Vittorio Emanuele II e diventò immediatamente una versione allargata del regno piemontese: mantenne lo stesso sovrano, la stessa capitale Torino e la stessa costituzione. L’imposizione delle leggi piemontesi fece in modo che la gran parte della popolazione si sentisse sottomessa, la varietà dell’Italia aveva una storia secolare e non si sarebbe potuta cancellarla nel giro di pochi anni.
Nel quinto secolo aC gli abitanti della Grecia antica parlavano la stessa lingua e si consideravano un unico popolo. Nello stesso periodo nel nostro paese le popolazioni parlavano circa 40 lingue diverse e non avevano nessun senso di identità comune. La diversità italiana si è accentuata dopo la caduta dell’impero romano e per secoli è rimasta  divisa prima nei comuni medievali, poi nelle città stato e in seguito nei ducati rinascimentali. Lo spirito localistico sopravvive ancora oggi, se chiediamo ad un cittadino di Padova di definirsi  dirà che si sente innanzitutto padovano, poi veneto ed infine italiano. La diversità linguistica è un altro barometro della frammentazione italiana, nel 1861 il 90 % degli italiani parlava lingue o dialetti incomprensibili nel resto del paese , perfino re Vittorio Emanuele  parlava solo piemontese quando non si esprimeva nella sua lingua madre , il francese. Nell’euforia generale del periodo tra il 1859 e 61 quasi nessun politico ebbe coscienza della complicazione di unificare popolazioni cosi eterogenee, uno dei pochi a farlo fu Massimo D’Azeglio che dopo l’unità disse “ abbiamo fatto l’Italia ora dobbiamo fare gli italiani”.

Sel’Italia avrà ancora un futuro dopo questa crisi la Politica dovrà tener conto  del regionalismo intrinseco e millenario del paese. Naturalmente  non si potrà tornare ad essere un insieme di repubbliche comunali, ducati rurali e principati ma potrebbe benissimo diventare un moderno stato federale capace di riflettere la nostra natura storica. Daltronde un popolo che dimentica le sue origini non ha futuro.

11/08/14

GRAB LAND la rapina della terra

Le Nazioni Unite hanno adottato delle linee guida sul land grab, l'acquisto di terreni agricoli nei paesi in via di sviluppo, da parte di governi ed aziende dei paesi più ricchi. 
Negli ultimi 12 anni i paesi ricchi hanno acquistato oltre  200 milioni di ettari di terre, per avere una idea delle dimensioni è una superficie pari ad 8 volte quella della Gran Bretagna.
Le terre agricole sono acquistate soprattutto in Africa ed Asia a prezzi bassissimi e con la connivenza di governanti corrotti. 
Le linee guida sono state studiate per garantire alle comunita agricole locali che dei prodotti della terra vivono, l'accesso  alla terra, alle acque ed alle foreste. 
Secondo molte organizzazioni umanitarie, infatti, la vendita dei terreni agricoli agli investitori stranieri provoca molto frequentemente l'espulsione anche forzata , di contadini e pastori locali con gravissimi danni all'ambiente.

10/08/14

PREVISIONI

Beh ! Visto che i maggiori economisti succedutisi al ministero della economia hanno detto stupidate, fatto previsioni del lotto e non sono stati chiamati a rispondere delle loro incapacità  ( se avessero lavorato alle dipendenze di una azienda privata con quelle previsioni li avrebbero buttati fuori a calci )
facciamo noi una previsione, che riconferma una fatta 2 anni fa.
Le riforme, quelle che contano, quelle che sono a favore della gente, non le faranno MAI, perché i voti che hanno pietrificato la politica in Italia sono voti dati alla politica dalle grandi lobby finanziarie ( banche, fondazioni e tutta la solita merda ),dalle grandi aziende ( vedi Poste, Enel, Alitalia, Ferrovie etc etc ), dai dipendenti dello stato che sono li perché sanno come devono votare ( non ne licenzieranno mai uno anzi ne assumono degli altri).
Non faranno nulla, continueranno a fare nobili lotte come quella per il Senato, che ad oggi non è successo di fatto nulla perché forse a settembre andrà alla camera e se passa anche li la modifica del senato sarà ESECUTIVA TRA NON MENO DI UN ANNO. Continueranno a perdere tempo su questioni ISTITUZIONALI, lasceranno così andare il paese in malora, faranno intervenire la Trojca che metterà in atto le azioni finanziarie con tagli LINEARI che significa DISTRUGGERE IL WELFARE o meglio IMPOVERIRE LA GENTE cioè noi tutti come sempre.
Loro, il governo, potrà cosi dire che non centrano ma devono assoggettarsi alle direttive che gli impongono. In pratica il paese sarà commissariato, altri lo governeranno e faranno quello che questi fetenti non vogliono fare ma continueranno a darsi lo stipendio che si danno.
Il paese riceverà un prestito di 134 miliardi e poi sarà peggio della Grecia, della Spagna perché siamo messi peggio.
Italia Addio
Italiani addio
Grazie Renzi oggi è il 10 agosto 2014 e speriamo di aver scritto delle cazzate.