07/10/14

Società e Mercato

Tratto da “Quello che i soldi non possono comperare” di Michael J. Sandel editore Feltrinelli

Negli ultimi trent’anni i mercati e i valori di mercato, hanno preso a governare le nostre vite come mai prima d’ora. Viviamo in una epoca in cui quasi tutto può essere comperato e venduto.
Gli anni precedenti la crisi finanziaria  del 2008 sono stati un momento di esaltazione della fede nei mercati e della deregulation. Questa epoca ha avuto inizio negli anni ottanta quando Ronald Reagan e Margaret  Thathcer sostennero che  “erano i mercati e non i governi” ad avere in mano le chiavi della prosperità e della libertà. Tale credo è perdurato negli anni novanta con “il pensiero non ostile ai mercati” di Bill Clinton e Tony Blair.
L’era del trionfalismo dei mercati sta volgendo al termine, oggi questa fiducia è in dubbio. La crisi finanziaria non ha solamente instillato il dubbio sulla capacità dei mercati di  allocare il rischio in maniera efficiente, ha anche suscitato la diffusa  percezione che i mercati si siano allontanati dalla morale  e si debba riavvicinarli ad essa in un qualche modo ma che cosa ciò significhi, o come dovremmo muoverci al riguardo, non è ovvio.
Per affrontare questa situazione non basta inveire contro l’avidità; occorre ripensare al ruolo che i mercati possono giocare nella nostra società. Per affrontare tale dibattito, serve riflettere a fondo sui limiti morali dei mercati, serve chiedersi se esiste qualche cosa che il denaro non può comprare…..SEI ARRIVATO QUI

Perché preoccuparsi del fatto che stiamo andando verso una società in cui tutto è in vendita?
Per due ragioni: una riguarda la diseguaglianza; l’altra la corruzione.
Consideriamo la diseguaglianza. In una società in cui tutto è in vendita, la vita è più difficile per chi dispone di mezzi modesti. Più il denaro può comprare, più la ricchezza o la sua mancanza contano.
Se il solo vantaggio della ricchezza fosse la possibilità di comprare yacht, auto sportive, gioielli o vacanze esclusive, le diseguaglianze di reddito e di ricchezza non importerebbero molto.
Man mano però che il denaro arriva a comperare sempre più cose: l’influenza politica, una buona assistenza sanitaria, una casa in un quartiere sicuro, l’accesso a scuole d’elite, la distribuzione del reddito e della ricchezza assumono un ruolo sempre maggiore.
Laddove tutte le cose buone  sono comprate e vendute, avere i soldi fa la differenza.
La seconda ragione per cui dovremmo esitare a mettere tutto in vendita è più complessa da spiegare. Non riguarda la diseguaglianza e l’equità ma gli effetti corrosivi dei mercati. Assegnare un prezzo alle cose buone  può corromperle.
Quando decidiamo che certi beni possono essere comprati e venduti, decidiamo, almeno implicitamente, che è appropriato trattarli come merce, come strumenti di profitto e di consumo.
Ma non tutti i beni sono in questo modo  valutati correttamente. L’esempio più ovvio è l’essere umano. La schiavitù è esecrabile perché trattare gli esseri umani come merce da comprare e  vendere all’asta non riesce a valutare gli esseri umani nel modo appropriato, come persone meritevoli di dignità e rispetto, piuttosto che mezzi di guadagno e oggetti d’uso.
Questo esempio mette in luce un aspetto più generale; se trasformate in merci, alcune delle cose buone  della vita vengono corrotte o degradate.
Senza rendercene conto  e senza averlo mai deciso di farlo, siamo passati dall’avere  un economia di mercato all’essere una società di mercato, la differenza è che  un economia di mercato  è uno strumento prezioso ed efficace  per organizzare l’attività produttiva. Una società di mercato è un modo di vivere  in cui i valori di mercato penetrano in ogni aspetto dell’attività umana. Un luogo dove le relazioni sociali sono trasformate a immagine del mercato.
Vogliamo un’economia di mercato o una società di mercato? Quale ruolo dovrebbero  giocare i mercati nella vita pubblica e nelle relazioni personali ? Come possiamo decidere quali beni debbono essere comprati e venduti  e quali vadano governati da valori non di mercato?
Un dibattito serio sul ruolo e sulla portata dei mercati rimane largamente assente dalla nostra vita politica perché ogni tentativo di  ripensare al ruolo ed alla portata dei mercati dovrebbe prendere le mosse dal riconoscimento di due ostacoli scoraggianti.
Uno è il persistente potere e prestigio della logica di mercato ed è un ostacolo sconcertante se solo pensiamo che  non è bastata la crisi finanziaria del 2008 a far cambiare le cose.
Il secondo è la sudditanza della politica alle regole della finanza che impedisce di affrontare un dibattito sui limiti morali dei mercati, un dibattito pubblico che rifletta su questioni morali controverse quali: il giusto modo di valutare la procreazione, l’infanzia, l’istruzione, la salute, l’ambiente, la cittadinanza e altri beni.
Tutto questo mentre cresce nei cittadini la frustrazione per un sistema politico incapace di agire per il bene comune o di occuparsi delle questioni che contano di più.
Quando pensiamo alla moralità dei mercati, pensiamo innanzitutto alle banche di Wall Street ed ai loro spericolati misfatti, agli hedge funds, alle manovre di salvataggio della finanza con i soldi pubblici.
La sfida morale e politica che dobbiamo affrontare oggi consiste nel ripensare il ruolo e la portata dei mercati all’interno delle nostre attività sociali, delle relazioni umane e della quotidianità.


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