Quando si parla di lavoro sembra
proprio che il modo di dire “ fa quello
che ami” o “ama quello che fai” sia diventato il mantra ufficiale dei nostri
tempi.
Sulle prime sembra contenere un
messaggio edificante che ci spinge a chiederci quale sia la cosa che preferiamo
fare e trasformarla in una attività da cui ricavare un reddito, ma con un po’
più di attenzione si scopre che non porta alla salvezza ma alla svalutazione di
quel stesso lavoro che dice di voler elevare e , soprattutto, alla
disumanizzazione della gran parte dei lavoratori.
A chi si rivolge o non rivolge ,
questa esortazione ?
Incoraggiandoci a restare concentrati
su noi stessi e sulla nostra felicità individuale, lo slogan ci distrae dalle
condizioni di lavoro degli altri e al tempo stesso conferma le nostre scelte ,
sollevandoci dalla responsabilità nei
confronti di tutti quelli che lavorano anche senza amare il lavoro che fanno.
E’ la stretta di mano dei
privilegiati, è una visione del mondo
che maschera l’ elitismo in nobile aspirazione a migliorare se stessi.
Secondo questa scuola il lavoro non è
una cosa che si fa per un compenso, ma un atto d’amore verso se stessi, se il
profitto manca è perché il lavoratore non ci ha messo abbastanza passione.
Il vero obiettivo è illuderci che lavoriamo per noi stessi e
non per il mercato.
Tutti i “predicatori” della
positività includono da decenni questo modo di dire nel loro repertorio, ma il suo più importante e recente
evangelista è il defunto amministratore
delegato della Apple , Steve Jobs.
Il suo discorso alla Stanford
University può essere un mito originario credibile soprattutto da quando Steve
Jobs è stato beatificato come santo patrono
del lavoro estetizzato, ben prima della sua morte prematura.
Durante il discorso Jobs ha
introdotto questa riflessione “Dovete scoprire le vostre passioni. E questo
vale nel lavoro come nell’amore. Il vostro lavoro occuperà una grossa parte
della vostra vita e l’unico modo per essere veramente soddisfatti è farlo bene.
E per fare bene il vostro lavoro, l’unico modo è amare quello che fate”
Ma rappresentando la Apple come
frutto del suo amore individuale Jobs ha cancellato il lavoro di migliaia di
anonimi che lavorano negli stabilimenti
della azienda, al riparo da occhi indiscreti, dall’altra parte del pianeta: gli
stessi che hanno permesso a Jobs di tradurre in pratica il suo amore.
La violenza di questa cancellazione
va denunciata.
Di fatto il lavoro viene diviso in
due categorie:
Quello piacevole (
creativo,intellettuale, socialmente prestigioso) e quello che non lo è ( ripetitivo, non intellettuale,
generico)
Chi fa lavori piacevoli è
privilegiato in termini di ricchezza, status sociale , istruzione, pregiudizi
razziali e peso politico anche se costituisce una piccola parte della forza
lavoro complessiva.
Per chi è costretto a fare un lavoro
che non ama è tutta un'altra storia. I lavori che si fanno per motivi e bisogni
diversi dall’amore ( cioè la maggior
parte ) non sono solo sminuiti, ma cancellati, dal credo di Jobs.
Pensate alla grande varietà di lavori
che hanno permesso a Jobs di vivere
anche un solo giorno da amministratore delegato della Apple. Il cibo che ha mangiato
è stato raccolto nei campi e trasportato a destinazione. Le merci della sua
azienda sono state assemblate, impacchettate
e spedite. Gli sponsor pubblicitari sono stati concepiti, scritti,
interpretati e filmati. Le cause legali sono state discusse in tribunale . I
cestini della carta straccia sono stati svuotati e le cartucce delle stampanti
sostituite.
Eppure, dal momento che la stragrande
maggioranza dei lavoratori rimane invisibile agli occhi delle elite innamorate
del loro lavoro, non stupisce che le
gravi difficoltà affrontate oggi dai
lavoratori ( salari ridicoli, costi degli asili nido e cosi via ) stentino ad
essere percepite come problemi politici
perfino dalle frange più progressiste
della classe dirigente.
Ignorare la maggior parte dei lavori e riclassificando il resto come
“amore”, “fa quello che ami” è la più grande
ideologia in circolazione contro
i lavoratori.
Se crediamo che lavorare come
imprenditori nella Sillycon Valley, addetti stampa di un museo o ricercatori di
un istituto, sia essenziale per essere persone autentiche cosa pensiamo delle vite interiori e delle
speranze di quelle che puliscono le stanze d’albergo o riforniscono gli
scaffali di un grande magazzino? La risposta è: Niente.
Eppure , sono proprio i lavori più
faticosi e sottopagati che la maggior parte della gente continua a fare.
Elevare un certo tipo di professionisti a qualcosa che vale la pena di amare
significa automaticamente denigrare il
lavoro di quelli che fanno mestieri poco attraenti ma che poi sono quelli che
mandano avanti la società.
Prima di soccombere al mantra “fa quello che ami” è fondamentale
chiedersi “ A chi conviene, esattamente, fare in modo che il lavoro non sia
percepito come un lavoro?” Perché i
lavoratori dovrebbero avere l’impressione di non lavorare se è proprio quello
che fanno ?
Lo storico Mario Liverani ci ricorda
che “l’ideologia ha la funzione di
presentare allo sfruttato lo sfruttamento in una luce favorevole , come
qualcosa di vantaggioso per gli svantaggiati”
Mascherando gli stessi meccanismi di
sfruttamento che alimenta, “ fa quello che ami” è il più perfetto strumento
ideologico del capitalismo. Distoglie l’attenzione dal lavoro degli altri,
mascherando il nostro da qualcos’altro. Nasconde il fatto che se considerassimo lavoro quello che
facciamo, potremmo stabilire dei limiti appropriati ed esigere un compenso equo
ed orari umani compatibili con la famiglia e lo svago.
Se lo facessimo aumenterebbe il
numero delle persone in grado di fare il lavoro che amano.
Di Miya Tokumitsu